La foto della settimana #05

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"The Gold Painted Stripper" - Weegee, ca 1950.

Weegee (vero nome Arthur Fellig) nasce il 12 giugno 1899 a Zloczew, cittadina polacca allora appartenente all’Impero Asburgico.


L’anno successivo il padre, che di professione è un rabbino, si trasferisce in America, e Arthur lo segue a New York con la madre dieci anni dopo. Per aiutare la famiglia, poverissima, si dedica a svariati lavori d’ogni tipo, sino ad approdare alla fotografia.

Più tardi si definirà un "fotografo naturale". Inizia con la fotografia di studio ma presto passa alla fotografia di strada, ritraendo bambini per le vie e rivendendo ai genitori le immagini dei loro figli per prezzi irrisori: tre stampe per mezzo dollaro. Nel 1923 inizia a lavorare per l’agenzia Acme, che rifornisce d’immagini i quotidiani. Inizialmente gli viene affidato il lavoro di laboratorio ed esegue immagini solo in mancanza dei fotografi ufficiali. Nel 1935 decide di intraprendere la professione come free lance e prende il soprannome di Weegee.

Affitta uno studio vicino alla Stazione di Polizia, per essere costantemente informato dei fatti di cronaca nera, e in più installa sulla sua Chevrolet una radio sintonizzata con quella degli agenti. In questo modo riesce perfino ad anticipare i poliziotti stessi.


La strada e l’automobile diventano la sua casa. Nel bagagliaio tiene un apparecchio di riserva, prodotti chimici per lo sviluppo, abiti di ricambio, sigari, salami e flash. Dietro le sue foto stampa un timbro con la scritta "Eseguita dal famoso Weegee". Nel 1941 espone per la prima volta le sue foto in una mostra intitolata "Murder is my business".

Dopo dieci anni, pubblica il suo primo libro "Naked City", con immagini brutali e spietate della vita notturna della grande metropoli. Nelle foto di Weegee i cittadini di New York scoprono una città esotica e diversa, lontana mille miglia dallo stereotipo cui sono abituati. Dopo la guerra si trasferisce a Hollywood, dove lavora per gli studios come consulente per i film d’azione, partecipando in piccole parti in numerose pellicole; collabora anche con Stanley Kubrick per "Il dottor Stranamore".

Pubblica altri tre libri con le sue immagini e nel 1961 la sua autobiografia.

Dotato di un innato senso della composizione, Wegee riusciva a cogliere la verità dei fatti nella loro sconcertante semplicità: le sue immagini vanno dritte al sodo, non lasciano spazio all’immaginazione, colpiscono come un pugno nello stomaco. Sembrano talvolta fotogrammi di un film, ma nessuna di esse è costruita.


Nelle sue fotografie è rappresentata una generazione di diseredati, prostitute, alcolizzati, assassini e assassinati, poliziotti, ladri e lavoratori della notte. Tutti ripresi nella loro reale dimensione, quasi con scientifica precisione.


Muore per un tumore al cervello il 26 dicembre1968.


La foto della settimana #04

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“Blind couple in their bedroom, Queens, N.Y., 1971.” - Diane Arbus

"Fu la mia insegnante, Lisette Model, che mi rese chiaro definitivamente che più specifici si è, più generali si sarà."


“Ogni ritratto non è altro che l'autoritratto dell'autore, il modello è solo un'occasione, l'accidente” (da “Il ritratto di Dorian Gray, di Oscar Wilde) Guarda caso è la stessa affermazione che fa August Sander, il fotografo tedesco che maggiormente è stato accostato alla Arbus per il modo con cui riprende i suoi soggetti. In effetti si potrebbero nascondere facilmente alcune foto di Sander fra quelle della Arbus e nessuno se ne accorgerebbe. Mai in nessuno come nella Arbus ogni ritratto è principalmente la proiezione delle sue ossessioni. Scegliamo un'altra foto famosa. “Identical twins”. È la copertina della monografia della Aperture dedicata alla Arbus. Le gemelline differiscono solo per l'espressione. Una sorridente, l'altra no. Il contatto ravvicinato fra loro le fa sembrare due gemelle siamesi. Per scoprire la vera entità dell'ossessione per il tema perturbante del doppio bisogna andare indietro nel tempo dal 1967, anno della foto, al 1950, quando la Arbus fotografa la figlia Doon in una doppia esposizione in cui la ritrae contemporaneamente triste ed allegra. L'ossessione del doppio segue la Arbus per tutta la sua vita. Le gemelline “ricompaiono” in Shining, di Kubrick, vecchio amico di Diane. Non sono, come molti credono, solo un omaggio alla fotografa scomparsa, ma il modo migliore per rendere il materializzarsi di una ossessione; il cerchio, ancora una volta, è completo “the full circle” appunto. Ricordiamo anche che sempre in Shining una delle scene più agghiaccianti è quella della morta suicida nella vasca da bagno, ormai parzialmente decomposta, che seduce il protagonista. È esattamente la condizione in cui ritrovarono la Arbus, nella vasca da bagno, il corpo ormai cosparso dalle macchie verdastre della decomposizione post mortem.

La foto della settimana #03

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"Stricken child crawling towards a food camp
" di Kevin Cartner


È un giorno di marzo. Nel sudan del 1993. C’è una bambina minuscola e affamata, rannicchiata a terra, la schiena arrotondata a conchiglia, la fronte appoggiata sulle mani. Sola. Dietro di lei silenzioso e paziente, a controllare ogni movimento, con le ali a mantello c’è un avvoltoio. Davanti, un uomo. In ginocchio, con una macchina fotografica. Kevin Carter ammetterà di essere rimasto venti minuti in attesa che l'avvoltoio aprisse le ali. Non le aprirà ma lui scatterà lo stesso e poi rimarrà seduto sotto un albero a piangere e parlare con Dio, a pensare a sua figlia. Con quell’immagine titolata “Stricken Child Crawling Towards a Food Camp” , che diverrà nel mondo il simbolo della carestia e dalle fame, vincerà il premio pulitzer nel 1994.
A chi gli chiese in seguito se la bambina fosse sopravissuta, se dopo aver scattato l’immagine, la soccorse, Kevin non risponderà mai.
Non seppe mai che fine fece . Quella bambina diventò il suo incubo.
Anni dopo feci ad un famoso fotografo italiano la stessa domanda. Dopo aver scattato l’immagine che stavo guardando aveva salvato i bambini ripresi? Lui rispose che ci provò, che posò la macchina e si chiese cosa fare. Fu bloccato da un medico che gli disse risoluto che se era un fotografo, quello doveva impegnarsi a fare.
Fai quello che sei venuto a fare, e fallo meglio che puoi. "Se kevin non avesse scattato quella immagine", scrive Andy Mc Naab in Buio Profondo : "..neppure uno di quegli stronzi di casa nostra avrebbe mai saputo dove si trova il sudan!”.
Kevin Carter aveva iniziato a lavorare come fotografo di sport. Ma viveva in Sudafrica, e come fai a scattare immagini di gente che gioca a cricket e dimenticare che il mondo attorno a te sta cambiando, che crolla l’apartheid, che nasce un nuovo stato che forse sarà ancora intollerante e non più solo in un'unica direzione. Forse puoi, ma non potè Kevin Carter che presto passò alle township nere e al deserto del sudafrica. Quello era per lui l’unico modo possibile di essere fotografo. Infatti quando gli incubi diventavano troppi, quando “l’orrore che si portava sempre dentro” gli teneva gli occhi spalancati di notte non tornava alle piste da corsa, al cricket, ma mollava tutto e si ritirava in una pace artificiale da disc-jokey di centri commerciali.
Passava musica. E per un po’ funzionava. Poi la musica veniva parcheggiata per far posto a format dai contenuti impegnati come Newsday e tutto ricominciava. Per Kevin il modo di raccontare non si esprimeva con le parole. Eccolo qualche mese dopo, l’11 aprile del 94, a pochi giorni dalle elezioni che portarono al potere in sudafrica la maggioranza nera, nel bophuthatswana: una homeland nera. Migliaia di estremisti bianchi in pantaloncini si erano scontrati con l’esercito. Erano guidati da Eugene Terreblanche e stavano battendo in ritirata dopo aver perso. Una mercedes bianca con tre uomini a bordo viene intercettata da soldati neri e in una sorta di moviola terribile durata un’ ora i tre uomini vengono uccisi uno alla volta. Tra un esecuzione e l’altra i tre boeri fanno tempo a rispondere alle domande dei giornalisti e sono fotografati dai reporter . Insultano i loro carnefici convinti che “ gli sporchi negri “ non avranno il coraggio di ammazzarli. Quella sera Kevin a casa portò con se fotografie che sarebbero finite sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo e una domanda. Subdola. Tremenda. Perché non aveva fatto nulla per fermare quell’ orrore? Una settimana più tardi il suo miglior amico e fotografo Ken Oosterroek fu ucciso da una pallottola vagante mentre erano assieme in un sobborgo di Johannesburg. Non c'è una risposta su quanto orrore si possa sopportare nella vita, che vale per tutti. Ci sono persone che si danno risposte, la persuasione delle quali spesso funziona solo per se stessi. ll fotografo Cobus Bodenstein dopo le vicende del bophuthatswana aveva commentato che se fossero intervenuti sarebbero stati uccisi anche loro. Disse “ ... noi non siamo il braccio di Dio. Siamo solo il suo occhio.” Il 27 luglio Kevin Carter scriverà una lettera a sua figlia di 6 anni e una a sua moglie (dalla quale si era appena separato). Un ultimo biglietto lo lascerà sul sedile dell’auto: c’è scritto “The pain of life overrides the joy to the point that joy does not exist.”
Dopo di che accenderà il motore della sua auto e si lascerà morire. Che fossero di Dio o solo suoi, quel giorno gli occhi di Kevin si chiusero per sempre.


(di Nicoletta Lupi)

Una nottata dal Brein - Valentina

La foto della settimana #02

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"Jack and Lynn Johnson"
di Larry Clark


Larry (Lawrence Donald) Clark (Tulsa, 1º gennaio 1943) è un fotografo e regista cinematografico statunitense.
Fotografo fra i più influenti degli anni settanta e ottanta, fece le prime esperienze a seguito della madre, specializzata in ritratti infantili. Ha frequentato la Layton School of Art di Milwaukee, Wisconsin, e ha combattuto in Vietnam.

Il suo primo libro di fotografie, Tulsa, pubblicato nel 1971, riproduce foto scattate in tre distinti periodi (1963, 1968, 1971) nell'ambiente dei giovani tossicomani di Tulsa, Oklahoma, viventi sul confine e spesso oltre il confine della legge, ambiente di cui Clark fu fino a tutti gli anni Sessanta parte attiva (guadagnandone anche alcuni soggiorni in carcere, uno per tentato omicidio).

In questo protratto diario-reportage, Clark si limitò a vivere la vita del gruppo (che negli otto anni degli scatti procede verso un progressivo annichilimento) senza interferire e senza mai separarsi dalla macchina fotografica, ragione per cui queste foto in bianco e nero, spesso crude - con immagini di uso di aghi ipodermici, atti di violenza, sesso esplicito - ma sempre visivamente calibratissime, hanno un senso di verità assente da imprese simili.

Tulsa ha influenzato largamente non solo la fotografia americana, ma anche il cinema, venendo direttamente citato come ispirazione da registi come Martin Scorsese e Gus Van Sant.

I libri successivi, dove Clark adopera anche il colore (Teenage Lust, 1983, A Perfect Childhood, 1992) dimostrano un'attenzione sempre più accentuata e, secondi alcuni, morbosa, verso la sessualità adolescenziale, resa esplicita del resto dall'attività di regista cinematografico intrapresa come attività prevalente dal 1995 (Kids, 1995, Another Day in Paradise, 1997, Bully, 2001, Teenage Caveman, 2002, Ken Park, 2002 - occasione di scandalo e tuttora non proiettato negli Stati Uniti - ,Wassup Rockers, 2005)

A Dancer in the Light.

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Matteo.

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Una nottata dal Brein - Francesca



La foto della settimana #01

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Robert Frank - Untitled, 1962









Nato in una famiglia di origini ebraiche, Robert Louis Frank (Zurigo, 9 novembre 1924) lavora dal 1941 al 1944 come assistente fotografo al seguito di Hermann Segesser e Michael Wolgensinger. Nel 1946 si autofinanzia la prima pubblicazione, cui dà il titolo di 40 Fotos. Nel 1947 lascia l’Europa per trasferirsi negli Stati Uniti. A New York Alexey Brodovitch lo ingaggia come fotografo di moda per Harper's Bazaar. Parallelamente alla fotografia di moda svolge una prolifica attività di reporter freelance che lo porta ad affrontare viaggi in Perù e Bolivia nel 1948 (una selezione delle fotografie là riprese sono pubblicate sulla rivista Neuf di Robert Delpire nel 1952 e, quattro anni dopo, nel libro Indiens pas morts) e nel 1949 in Europa (Francia, Italia, Svizzera e Spagna). Le fotografie di Parigi sono pubblicate in un libro dell’artista Mary Lockspeiser che, l’anno dopo, Frank sposerà. Nel 1950 Frank ha già un nome ed Edward Steichen include alcune sue fotografie nella mostra 51 American Photographers allestita al Museum of Modern Art di New York e poi nella celebre The Family of Man del 1955.

Tra il 1952 e il 1953 continua in Europa la sua attività di reporter tra Parigi, Londra, Galles, Spagna e Svizzera. In questo periodo abbandona definitivamente la fotografia di moda e comincia a lavorare sempre più seriamente come fotogiornalista freelance. Nel 1955 Robert Frank è il primo fotografo europeo a ricevere la borsa di studio annuale promossa dalla Fondazione Guggenheim di New York. Con i soldi ricevuti viaggia per tutti gli Stati Uniti dal 1955 al 1956, riprendendo oltre 24.000 fotografie. Nel 1958 Robert Delpire pubblica a Parigi Les Américains, una selezione di 83 immagini tratte dal viaggio americano e l’anno dopo la Grove Press pubblica il volume negli Stati Uniti col titolo The Americans.

Intanto, Frank viene a contatto con i principali esponenti della nuova generazione letteraria e artistica americana, soprattutto con gli esponenti della Beat generation. In primo luogo stringe una salda amicizia con lo scrittore Jack Kerouac, col quale porta a termine varie collaborazioni. Oltre ad aver compiuto un viaggio on the road insieme, nel 1958, verso la Florida, Kerouac si preoccupa di scrivere l’introduzione al libro The Americans per l’edizione americana.

Nel 1959 viene realizzata la più nota collaborazione con la Beat Generation. Infatti, insieme al pittore Alfred Leslie, dirige il suo primo film, Pull My Daisy. Scritto e narrato da Jack Kerouac e interpretato, tra gli altri, da Allen Ginsberg e Gregory Corso, il film sarà considerato il padre del New American Cinema.

Negli anni Sessanta, nonostante il crescente successo dei suoi lavori, Frank abbandona la fotografia per dedicarsi completamente alla realizzazione di film. Un cinema, il suo, carico di tensioni e tematiche prettamente private e introspettive, come Conversations in Vermont (1969) o About Me: A Musical (1971). Collabora ancora con i beats, soprattutto Ginsberg, Orlovsky e Burroughs, ma anche con i Rolling Stones (Cocksucker Blues, 1972, censurato dallo stesso gruppo), Tom Waits, Joe Strummer (Candy Mountain, 1986) e Patti Smith.

Dopo la tragica perdita della figlia Andrea, appena ventenne, Frank ricomincia a riutilizzare la macchina fotografica. Dalla metà degli anni settanta a oggi, la sua fotografia è lontana dai reportage precedenti: usa collage, vecchie fotografie, fotogrammi, polaroid; scrive, graffia e incide direttamente sul lato sensibile della pellicola. Alterna soggiorni a New York con lunghe permanenze a Mabou, Nova Scotia (Canada), insieme alla compagna e pittrice June Leaf.

Nel 1994 dona gran parte del suo materiale artistico alla National Gallery of Art di Washington che crea la Robert Frank Collection; è la prima volta che accade per un artista vivente. Nel 2000 ottiene il Cornell Capa Award. Frank, ottanta anni nel 2004, continua ancora la sua ricerca. Sia di nuovi modi espressivi, sia di qualsiasi risposta su di sé, come uomo prima che come artista. Tra il 2005 e il 2006 un’ennesima retrospettiva della sua vita artistica gira il mondo: Robert Frank: Story Lines, partita da Londra nel novembre 2004.


(fonte Wikipedia.it)


Una nottata dal Brein - Irene, Francesca e Giacomo

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Una nottata dal Brein - Alberto e Loris.

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Maschera realizzata da Bruno Marrapodi (che compare a tradimento nella seconda foto).



Una nottata dal Brein - Elda, Marco e Sandro

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Maschera realizzata da Bruno Marrapodi